Massimo Granieri è un prete. Ma il più bel complimento che si è sentito rivolgere, dice lui, è quando i suoi alunni dell’ITIS Pacinotti, dove insegna religione, periferia di Roma, gli dicono: “ma tu non sembri un prete”… Peraltro, la vocazione di don Massimo è stata tutt’altro che facile, sia all’inizio, sia in tanti passaggi successivi.
In questo libro don Massimo si mette a nudo. Racconta la difficile giovinezza fra le montagne calabresi, fra la madre cresciuta in Inghilterra nel clima della swinging London e il padre padrone, che «spesso esplodeva in una violenza ingiustificata» e disprezzava tutte le passioni del figlio: la politica (naturalmente a sinistra), la musica rock, poi la vocazione religiosa. Racconta senza farsi sconti il periodo più drammatico, il tumore del padre, vissuto fino alla tentazione suprema di rallegrarsi per la sua morte vicina, vista come una liberazione, e fino all’episodio decisivo (al lettore scoprire i dettagli) che, mentre fuggiva dall’ospedale, gli ha cambiato la vita, gli ha permesso all’ultimo istante di riabbracciare il madre morente.
Nel frattempo, don Massimo racconta le paternità “putative” (così le chiama) che gli hanno permesso di sopravvivere: il nonno Francesco, saggio e comprensivo; il vescovo di Cosenza, anche lui Francesco, che lo ha sostenuto nei momenti più difficili della sua vocazione, quando la tentazione di buttare alle ortiche non solo la tonaca ma perfino la fede è stata più grande; un terzo Francesco (alle volte, le coincidenze…) che è la chiave dell’episodio di cui sopra.
Tutto il racconto poi è tramato di musica. La passione per il rock infatti, esplosa a sedici anni o giù di lì, non l’ha più abbandonato (tanto che oggi don Massimo conduce un programma settimanale di rock su Radio Vaticana). Così ogni episodio e ogni riflessione sono accompagnati, abbracciati, sostenuti dai testi dei musicisti che ama, da Neil Young a Cristiano Godano, frontman dei Marlene Kuntz, a mille altri, troppi per poterli nominare.
Una citazione, per spiegare lo strano titolo del libro: «In questo libro mi sono ispirato a figure di padri che, come Geppetto, non cercavano la gloria, ma che con il loro sacrificio e la loro umiltà hanno modellato il mio destino. Geppetto, come il San Giuseppe della tradizione cristiana, è un padre che non si lamenta, non si impone. La sua presenza è la vera paternità, una paternità putativa che accoglie il figlio nel ventre del mostro marino e si lascia portare alla riva. E – come accade nella musica, in quella “confraternita di persone buone” che ci salvano dalle bocche di pescecani moderni – la speranza affiora spesso nelle circostanze più impensate, da uomini che, senza volerlo, diventano protagonisti della nostra redenzione». Così conclude Dario Brunori la sua prefazione: «Il libro di don Massimo è un grande amico per aiutarsi a riscoprire la bellezza e la grandezza della paternità. E a capire che la sua drammaticità non è un’obiezione, ma una componente fondamentale della bellezza della vita».
Roberto Persico – Il Foglio