Il rock e l’anima

Che cos’è il rock? Non è facile dare definizioni di un fenomeno così complesso e contraddittorio, non compatto e coerente. È una forma di espressione musicale che dalla metà degli anni ’50 è in continua evoluzione. È un fenomeno eclettico, risultato di una mutevole combinazione di forme musicali che si sono sviluppate in modo autonomo. Una cosa è certa: il rock ha avuto sin dai suoi inizi la capacità di farsi interprete dei sogni, delle aspirazioni e dei malesseri dei giovani. Ha convogliato tensioni, anche violente, ma certamente profonde. Il suo è un linguaggio di potenza. Già la definizione di rock ‘n roll evoca l’immagine di una roccia (rock) che vibra, è instabile, crolla e rotola. Forse la migliore definizione l’ha data Manzoni nel suo inno sacro Il Natale: «Qual masso che dal vertice/ di lunga erta montana,/ abbandonato all’impeto/ di rumorosa frana,/ per lo scheggiato calle/ precipitando a valle,/ batte sul fondo e sta…»

Che cosa «spacca» questo masso? Cosa intende abbattere? Barriere, muri. Certamente. È un canto di liberazione. Nasce da una reazione. È musica di rottura perché dà voce a una energia vitale che vuole smuovere, far rotolare pietre che soffocano. È una tensione di liberazione da un io irretito, chiuso in se stesso, privo di rinvii significativi. La musica e i suoni del rock possono ben esprimere una lacerazione, una drammaticità, anche una ribellione profonda che va letta con cura.

Un esempio: in Slow Train, in maniera lapidaria, Bob Dylan si oppone a far parte di quella umanità che ha perso il senso della realtà e della relazione con il creato e con il proprio simile, ormai dominata dal desiderio di possedere e accumulare: Gente affamata e assetata / silos stanno scoppiando di grano / sai che costa di più stipare il cibo / piuttosto che darlo da mangiare, Questi versi richiamano la Scrittura e precisamente la parabola, presente nel Vangelo di Luca (12, 13-21) sulla cupidigia del ricco che pensa di demolire i propri magazzini per costruirne di più grandi, non sapendo che proprio in quel momento la vita lo abbandonerà. Dylan riflette su quest’inclinazione da parte dell’uomo che è diretta a «cosificare» la vita stessa, in modo tale da essere considerata merce di scambio, comprata e venduta. Molti autori rock riflettono su quest’inclinazione che trascura completamente il valore della coscienza, della libertà e della dignità umana.

Il rischio è lì in agguato ovviamente: il narcisismo, l’ideologia, una generica e dionisiaca ricerca di liberazione vaga e a volte distruttiva. Una volta avvenuta una liberazione cosa resta dopo? A volte il vuoto. In questo caso l’energia vitale liberata si ritorce contro se stessi e si può arrivare anche alla morte, al suicidio, certo. Resta però troppo facile l’etichetta «droga, sesso e rock ‘n roll». Si impone un attento discernimento, cioè di analisi dell’anima. Secondo Ignazio di Loyola ciò che sazia l’anima non è tanto il conoscere, quanto il gustare interiormente. Ed è proprio questo che fanno Massimo Granieri e Luca Miele in questo volume. Leggendo i ritratti che hanno firmato si ha la chiara percezione che qui c’è un patto biografico con la musica intesa come riserva di senso, di domanda. Si percepiscono scorrendo le pagine passioni e attriti, sintonie e dissonanze degli autori, che non si nascondono dietro il discorso critico. Tutt’altro: c’è la loro vita dentro quelle pagine. Gli autori sembrano raccontare un po’ di loro stessi. Ma si avverte soprattutto un’ermeneutica cristiana, dove il vangelo plasma e amplifica la capacità di ascolto musicale. Ma accade pure che la musica diventa l’ambiente che permette un ascolto penetrante del vangelo.

Non solo: il rock è anche «figlio» del vangelo, della Bibbia, come Granieri e Miele ci aiutano a capire. Parole, immagini, contesti dei testi rock hanno radici bibliche. Dylan una volta ha detto: «la Bibbia attraversa tutta la vita degli Stati Uniti, che la gente lo sappia o no. È il libro fondante. Il libro fondante dei padri, in ogni caso. La gente non può sfuggirle. Dovunque vai, non puoi sfuggirle». E dicendo questo parlava ovviamente anche di sé. Scopriamo la Bibbia come strada di accesso all’ascolto profondo del rock, dunque.

La Bibbia si conferma il «grande codice» della letteratura occidentale. La stessa lingua inglese quotidiana ha preso forma in buona parte sotto l’influsso della traduzione King James delle Sacre Scritture. Da essa proviene la musicalità di termini, modi di dire e metafore rock. Spesso, tra l’altro, filtrate dalla grande letteratura – da John Steinbeck a Flannery O’Connor – o anche registi – da John Ford a Terrence Malick. Il rock ha dato voce a molte esistenze rotte dalla miseria e dalla violenza, innalzandole con poesia e delicatezza; il rock ha saputo preferire l’amore al potere, la pace alla guerra, il dialogo al monologo; ha provato ad indagare lo spirituale, innalzandosi verso i cieli, ma stando con i piedi radicati in quella terra che a volte è arida e dura. How many roads must a man walk down… «Quante strade deve percorrere un uomo / prima che lo si possa chiamare uomo? […] e quanti anni devono vivere alcune persone / prima che possano essere finalmente libere? […] Quante volte un uomo deve guardare verso l’alto / prima che riesca a vedere il cielo?»

La musica rock tocca l’anima, insomma. E basterebbe citare i titoli di alcuni libri sul rock: Rock, rap e l’immortalità dell’anima, Anime trasparenti, Noise and spirit, Scritto nell’anima.

Il teologo Tom Beaudoin ha definito la musica «il fluido amniotico della società contemporanea. Il luogo in cui esercitiamo la nostra spiritualità». Questo libro ne è la prova. Questo libro è a suo modo necessario perché nel mondo contemporaneo la musica è diventata una colonna sonora costante della vita di molte persone. La musica è ormai dovunque, è un ambiente in cui si vive.

Entriamo in un negozio o in un bar e la musica è lì, spesso accuratamente scelta. Viviamo in un mondo immerso nella musica. Dunque non stiamo parlando solamente di un fenomeno, ma di un contesto, di un ambiente di vita che dobbiamo imparare a vivere meglio, in maniera più consapevolmente intensa. Esiste un ambiente sonoro come esiste un ambiente architettonico. Un ambiente che va dritto a incidere sull’anima.

Nel volume appare anche papa Francesco. Forse gli autori però non sanno un aneddoto che conferma il loro approccio. Quando Bergoglio a 28 anni fu inviato a insegnare in una scuola dei gesuiti era l’epoca dei Beatles. Con tutta la passione degli anni Sessanta, due suoi studenti volevano creare un complesso ma non avevano gli strumenti. Mancava una batteria e, al posto di chitarre e bassi elettrici, avevano guitarras criollas. Scarseggiavano pure i componenti per fare un gruppo: era difficile fare un quartetto con due persone. Non avevano nemmeno un posto dove provare. Decisero allora di andare a trovare Jorge Mario Bergoglio, che li ascoltò con interesse. Garantì loro soltanto che, per ottenere quel che volevano, avrebbero dovuto faticare. E fu grazie a lui – che trovò gli altri due del gruppo, la sala prove, gli strumenti, i permessi necessari – che nacque il gruppo degli Shouters. Uno di loro oggi è un musicista di professione. Bergoglio aveva capito l’importanza culturale e spirituale del rock per la vita dei suoi ragazzi.

Che tipo di uomo emerge dai profili di questo volume? Il lettore lo scoprirà pagina dopo pagina. Il libro è scritto come una raccolta di racconti. Nel caso delle figure presentate da Waits, essi sono randagi, cercatori, gente di desiderio, ma non disperati. E tra randagismo e disperazione c’è un abisso. Il primo può dire rabbia, «febbre» o ricerca; il secondo, passività, depressione o vittimismo. C’è spesso fragilità nei versi del rock. Ma è possibile riconoscere spesso un istinto radicale per ciò che può rendere felice una vita umana, la quale tende inesausta a questa felicità, nonostante tutto. Tutte le notti ansiose o «tossiche», tutte le strade dei vagabondaggi e i luoghi di intemperanze, alla fine, sembrano prendere significato e spessore grazie alla vitale attesa di qualcosa di vero: un’alba forte e sorprendente come un colpo di frusta, per dirla con Tom Waits; una promise land, per dirla con Springsteen. I percorsi sembrano delineare itinerari di liberazione profonda, di riconquista di una vita degna di essere vissuta, che abbia senso. Ed è poi questo il vero bisogno dell’anima: una vita che abbia senso.

Antonio Spadaro S.I.
Direttore de «La Civiltà Cattolica»

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