Nick Cave, Paul Simon e i «sette salmi» in musica

Sulla soglia dell’eternità.

La numerologia nella Bibbia ha un valore simbolico e salvifico. Il numero 7 indica la perfezione delle opere di Dio come la settimana della creazione. Nel libro di Giosuè le mura di Gerico crollano dopo una processione di 7 giorni. Sette sono i sacramenti, così i doni dello Spirito Santo, le opere di misericordia corporali e spirituali, le ultime parole di Cristo pronunciate sulla croce. Sette i vizi capitali richiamati nelle sette cornici del Purgatorio di Dante, «le tentazioni viziose dell’uomo» come afferma san Tommaso d’Aquino nella Summa Teologica. Il numero 7 compare nelle Sacre Scritture per indicare un’azione: Gesù comanda di perdonare 70 volte 7, sette le chiese del libro dell’Apocalisse forgiate da Dio e dall’Agnello con l’invio dei 7 spiriti. Dunque, il numero sette nella tradizione biblica e cristiana indica il coronamento dell’agire divino. Lo schema settenario appare nei dischi di Nick Cave e di Paul Simon, intitolati allo stesso modo Seven Psalms. Sette salmi per indicare un rapporto con Dio finalmente filiale. Infatti, nelle loro composizioni sembra di sentire il salmo 98: «Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie».

Il breviario musicale di Nick Cave esce sul mercato discografico nel 2022, accompagnato da un libro intitolato Fede, speranza e carneficina (Milano, La nave di Teseo, 2022, pagine 416, euro 21, traduzione di Chiara Spaziani). Nel precedente libro, Stranger Than Kindness (Il Saggiatore, 2020), dichiara di attingere a piene mani dai racconti della scrittrice cattolica Flannery O’Connor. Durante i concerti, Nick predice minacciosi avvenimenti futuri vestendo i panni di Hazel Motes, protagonista del romanzo La saggezza nel sangue della O’Connor. Hazel è il fondatore della chiesa della verità senza Gesù Cristo: «Gli irredenti si redimono per conto proprio e il nuovo gesù sta per arrivare! Aspettate questo miracolo! Nella Santa Chiesa di Cristo senza Cristo potete attingere a piene mani alla vostra salvezza!» (ibidem). Così blatera Hazel sul cofano dell’auto Essex davanti a un cinema, con il suo completo azzurro e il cappello bianco. I colori evocano il Cielo, come se il regno di Dio fosse confinato in quel vestito. Un “gesù” scritto minuscolo, diminuito, che non dava soluzioni a Cave. Lo canta nel brano Nobody’s Baby Now (dall’album Let Love In, 1994): «Ho cercato nei testi sacri / Ho cercato di svelare il mistero di Gesù Cristo, il Salvatore / Ho letto i poeti e gli analisti / Per una risposta che rifiutava di farsi trovare».

La religione muove la creatività di Nick Cave. In Seven Psalms recita sette suppliche e ringraziamenti. L’accompagnamento musicale è realizzato dal suo fido Warren Ellis, polistrumentista dei Bad Seeds, gruppo che ha segnato la carriera solista di Cave dopo l’avventura con i Birthday Party. «Queste cose non dovrebbero mai accadere ma noi moriamo / Queste cose non dovrebbero mai accadere ma accadono» recita in Such Things Should Never Happen, il testo più struggente che evoca la prematura scomparsa di due suoi figli. Ciò che rende speciale questo disco non disco è il modo in cui l’artista riflette sulla vita e sulla morte, interagendo con Dio. Gli dà del “tu” usando lo “spoken word” (dall’inglese “parola parlata”), una forma di poesia espressa oralmente e incentrata sul monologo. Questo stile, tra il recitato e il cantato, appare nel disco solista Carnage, specie nell’orinica White Elephant e nella sinfonica Lavender Fields. Lo spoken word è udibile nei dischi degli irlandesi Fontaines D.C intrisi del lirismo di James Joyce, Yeats e Brendan Behan. I sette salmi di Cave sono il punto di sintesi di un’indagine cominciata nel 1983 con Mutiny in Heaven. Nel testo dei Birthday Party c’è una salvezza perduta che anticipa Tupelo (1985). Tupelo è la città in cui nacque Elvis, nello Stato del Mississippi. Il mito sostituisce Dio, l’arrivo in terra del messia del rock’n’roll viene raccontato con toni apocalittici: «In una capanna pericolante di legno con un tetto di lamiera / Dove la pioggia entra gocciolando / Una giovane madre se ne sta infreddolita sul pavimento di cemento / Con una bottiglia e una scatola e una culla di paglia / Tupelo! O Tupelo!». Seguirà la lettura del Vangelo di Marco che influenzerà The Boatman’s Call (1996) e un diverso modo di approcciarsi a Dio come un mistero con cui dover fare i conti, sempre e comunque. La tensione sfocerà in modo drammatico in Ghosteen (2019).

In Seven Psalms Cave si arrende al Signore e s’inginocchia dinanzi alla maestà divina, come recita in How Long Have I Waited: «Signore, non posso più aspettare / Verrò in un giorno luminoso e mi inginocchierò / Dentro la tua sconfinata maestà». In I Have Trembled My Way Deep dichiara solennemente: «Mi sono fatto strada tremando fino alla resa / Ho disteso il mio corpo dolorante nel mondo / Sono rimasto sulla soglia della tua meraviglia / Ordinami di entrare, Signore». Si è compiuta la promessa attesa da Nick Cave per anni e depositata nel brano The One That I’ve Been Waiting For? (1996): «C’era un uomo che raccontava meraviglie / Anche se non l’ho mai conosciuto / Diceva che chi cerca trova e chi bussa sarà fatto entrare».

Seven Psalms è il nuovo disco di Paul Simon. Scritto dopo un sogno notturno, così dichiara nelle interviste promozionali: «Ho fatto un sogno il 15 gennaio 2019. E il sogno diceva che stavo lavorando a un pezzo chiamato Seven Psalms. Era così vivido che mi sono svegliato e l’ho scritto». Distribuito solo dopo quattro anni, è un album in cui l’autore di The Sound of Silence dialoga con Dio ponendogli delle domande, guardando in avanti con fiducia. Un’unica traccia di 33 minuti articolata in sette momenti diversi, in cui uno stesso ritornello lega le canzoni tra loro. Il disco conduce l’ascoltatore in un viaggio introspettivo inatteso. Paul Simon mostra curiosità nei riguardi dell’eternità, comprende di non essere più mortale ma chiamato all’eternità, quella abitata da Dio. È il punto di congiunzione con l’opera omonima di Nick Cave. Illustri predecessori come David Crosby in For Free, Leonard Cohen in You Want It Darker e David Bowie in Blackstar hanno musicato il rapporto con l’aldilà prima di morire. L’orizzonte di Dio in Simon appare più ampio. Affrancato da schemi prefissati e da tradizioni svuotate di senso, non si sente “finito” perché l’immortalità futura lo attrae.

Il timore della morte lo fece dubitare dell’esistenza di Dio. Troviamo tracce della sua inquietudine nell’album So Beautiful or So What (2011). Nella canzone che chiude il disco, Questions For The Angels si chiede che senso ha vivere: «Chi sono io in questo mondo solitario? Se un treno vuoto in una stazione ferroviaria / Ti chiama a destinazione / Puoi scegliere un altro percorso?». Nello stesso album, in Afterlife, il passaggio nell’aldilà è pura formalità, quasi lo lascia indifferente: «Devi prima compilare un modulo e poi aspettare in fila / Dovevo stare in fila, solo per intravedere il divino, cosa ne pensi?». Paul Simon non ha mai sviluppato la questione religiosa nelle canzoni, anche se fu tra i primi artisti a esplicitare il nome di Gesù nel ritornello di Mrs. Robinson, brano tratto dalla colonna sonora del film Il Laureato (1968): «Brindiamo a te Signora Robinson / Gesù ti ama più di quel che pensi / Dio ti benedica Signora Robinson / Il cielo tiene in serbo un posto per quelli che pregano». Potremmo considerare Bridge Over Troubled Water una canzone quasi mistica (dall’album che porta lo stesso titolo, 1970): «Quando la sera cala così spietata / Ti darò conforto / Prenderò le tue difese / Quando giunge l’oscurità e il dolore è tutto intorno a te / Come un ponte sull’acqua tempestosa / Mi distenderò». Attinse dalla musica gospel per cantare biblicamente della figura materna in Loves Me Like a Rock (album There Goes Rhymin’ Simon, 1973). Trattò il tema dell’orfanezza in That’s Why God Made the Movies con una visione poco paterna di Dio nei riguardi dei suoi figli (album One-Trick Pony, 1980). Preferì rimanere in superficie, poco interessato ad indagare sul Mistero, ponendosi interrogativi senza lo sforzo di trovare risposte fuori di sé.

Nella canzone Questions For The Angels si chiede se mai si sveglierà da incubi che lo tormentano. Un bel sogno invece lo ha condotto dritto dal Signore. L’album So Beautiful or So What è pieno di turbamenti che cessano nell’amen finale di Seven Psalms. L’adesione di Paul a Dio ricorda il «Sì, amen!» dell’Apocalisse. Quel «Così sia» è cantato in chiusura del disco insieme alla moglie Edie Brickell. Qualcuno la ricorderà con i New Bohemians. Il 33 giri Shooting Rubberbands at the Stars scalò le classifiche mondiali. Nel singolo What I Am Edie cantava: «La religione è una luce nella nebbia». Così Paul Simon in Wait: «Il paradiso è bello / È quasi come essere a casa / I bambini si preparano / Voglio credere in una transizione senza sogni / Io ho bisogno di te qui al mio fianco / La mia bellissima guida misteriosa / Aspetta / È ora di tornare a casa». Nel disco la morte è pensata come il transito da una dimensione esistenziale all’altra, una vita non tolta ma trasformata come è scritto nel prefazio dei defunti.

In Seven Psalms Dio s’incarna nella storia di due artisti che si consegnano nelle mani del Padre e di chi saprà ascoltarli. Quei salmi sono un inedito atto di adorazione verso il Mistero che li accoglie. Un avvenimento straordinario perché nella salmodia di Nick Cave e di Paul Simon è dimostrato che Dio è accessibile e che la sua misericordia «ha sì gran braccia» (Dante, Purgatorio III , 122). Un giorno, presto o tardi, finiremo di chiamarle canzonette in senso spregiativo. Pur se brevi e semplici, le canzoni offrono uno spazio e un tempo in cui trovare Qualcuno.

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